Della nostra famiglia

Storie

Quella volta che era quasi Natale. Del ’95. Mio padre con la fissa della telecamera. Io appena 7 anni e mia sorella 5. Lei saltellava a raccogliere una Barbie poi a cercare qualcosa da mangiare. Mia cugina ancora più piccola, con i capelli nerissimi e un viso più tondo di quanto mi ricordassi. La taverna di mia zia che invece mi ricordo come se ci fossi entrata ieri l’ ultima volta. Invece sono passati 17 anni. La tavola in legno massiccio, ancora non del tutto apparecchiata. Mia madre, bellissima e infelice, che porta un piatto e poi si gira a cercarmi. Io che disubbidisco e non voglio farmi riprendere. Mio nonno che abbraccia mia cugina e mia sorella, che se lo baciano e fanno a gara a chi lo stringe più forte. Non ricordavo che fosse così affettuoso. Quante cose che non ricordo o che ricordo in modo diverso. Mia zia che ci chiama e la sua voce che invece ricordo così, uguale, antipatica. Mio zio che bada al fuoco, che sistema la griglia e mio padre che zooma sulla griglia, vuota. Chissà che immagine voleva fermare. L’ albero di Natale tutto illuminato e il presepe enorme appoggiato sul mobile a fianco alla porta. Mia nonna che spazza e cerca di convincermi a farmi riprendere insieme a mia cugina. Io che dico NO da sotto al tavolo. Poi siamo tutti a tavola, la telecamera appoggiata, un po’ in bilico, su un tavolino di fronte, noi che ci facciamo riprendere. Io mangio poco, come ora, mio zio e mio padre parlano con qualcuno nell’angolo che non si vede, non so chi sia. Mio padre ha dei capelli lunghi che proprio non ricordavo avesse mai avuto. Sembra un’ altro. Mia sorella che non sa stare ferma quella sera e porta il bicchiere del pinzimonio a mia madre, dall’altra parte del tavolo, e se lo rovescia sulle mani, mia zia che dice di pulirle le mani, io che mangio solo cardi, mia madre che dice a mio padre che secondo lei la telecamera cadrà, mio padre che si arrabbia e strappa di mano il fazzoletto a mia madre dicendo che non ha pulito le mani a mia sorella, mia madre che ride, mio padre che urlando butta il fazzoletto sul tavolo. Mia madre che ride. Nessuno che si scompone, nessuno che si accorge che in questa scena c’è qualcosa che non è bello. Sembra normale. Il filmino finisce dopo pochi secondi. I miei genitori si sono separati dopo qualche anno. E questi sono i nostri ricordi, nostri di tutti e quattro. Della nostra famiglia.

Storie

“Nel 2018 non ho scritto neanche una parola.”

Il progetto che mi ero proposta di mettere in atto era: riprendere a scrivere aprendo un blog, scrivere, fare una cosa figa che tutti avrebbero stimato, sentirmi una persona finalmente apprezzata ma soprattutto realizzata. Posso dire con assoluta certezza che questo mio progetto è fallito miseramente. Non posso dire che la cosa mi sconvolga perché un po’ me l’ aspettavo. Quindi per tutto l’ anno scorso ho ignorato questo blog.

Oggi, venerdì, di un maggio che non sa di maggio, scrivo perché sono in ufficio e mi sto annoiando a morte. Il telefono non squilla, l’ atmosfera è quella tipica di tutti i venerdì pomeriggio, un misto di attesa e di noia mortale. L’ aria è talmente pesante che sembra che non si muova niente; mentre mi dondolo sulla seggiola mi sembra di vedere ogni granello di polvere cadere e depositarsi sulla mia scrivania. In certi venerdì ho proprio questa sensazione, come se il mondo andasse a rallentatore e non avesse più voglia di spostarsi. Anche io mi sento come se non avessi più nessuna intenzione di muovermi, come se dovessi rimanere per sempre su questa seggiola a guardare la polvere cadere. Nel frattempo penso a quello che devo mettere in valigia:

  • trucchi
  • assorbenti
  • deodorante
  • spazzolino e dentifricio
  • bagnoschiuma piccolo
  • smalto
  • medicine
  • crema viso

Una sbirciata ad Instagram e ancora una volta mi domando perché non mi cancello da questo social. Mi fa deprimere. Non so se lavarmi i capelli perché sono in quel momento in cui non sono per niente sporchi però sai che domani potrebbero non essere freschissimi e invece hai bisogno di capelli freschissimi e quindi con un gran giramento di palle mi sa che sono costretta a lavarli. E sticazzi.

Woooo Woooo Woooo.

E’ il rumore della stampante quando va in stand-by. Siamo tutti in modalità d’ attesa in questo ufficio. Chissà che attendiamo poi…una volta attendevo un sacco di cose poi sono diventata una disillusa. Non attendo, veramente, niente. Prendo quello che capita, se capita. E mi auguro che non abbiano ragione quelle persone che dicono che le cose capitano se le vuoi far capitare. Ma che cazzo vuol dire? Sai quante cose (belle) avrei voluto che mi fossero capitate in questi anni? E sai quante cose (belle) non sono capitate? Non mi dite che non succedono perché non mi espongo, che sono negativa, che ho paura ecc. perché è venerdì pomeriggio e ve ne andate a fanculo.

Secondo me dico un sacco di parolacce. Una volta un mio ex-fidanzato me lo aveva fatto notare dicendomi che non gli piaceva che fossi così sboccata. Ricordo bene che mi sforzai di modificare il risolutivo e imperioso “cazzo” con un più morigerato “cavoli”. Sono le piccole cose che sommate fanno grande il cambiamento. Non succede tutto in una volta ma a piccole dosi e quando te ne accorgi oramai non sai più chi sei. Hai inavvertitamente cambiato modo di parlare, modo di vestire o di pensare solo per compiacere l’ altro. Compiacere è la mia più grande debolezza. E’ un desiderio profondo quello che sento nel cercare sempre di piacere, anche se non a tutti, solo a quelli che piacciono a me. E’ stata la mia rovina questa continua ricerca di compiacere. Secondo me dico un sacco di parolacce e continuo a dirle perché mi piace.

Siamo arrivati alla fine, quasi, di questa giornata di lavoro semi-rubato. Adesso andrò a casa a fare la valigia che ho in testa e magari domani se mi va proverò a scrivere ancora.

All you need is love.

Storie

So amare?
Me lo chiedo spesso. Non trovo mai una risposta adeguata.
Se penso di aver mai amato?
Si penso di sì, ma forse no.
L’ amore mi sfugge, io non lo accetto come gli altri.
Per me non è facile, non è automatico. Mi scivola addosso oppure lo scanso.
Mi fa paura come mi fanno paura i cani di grossa taglia. Sono belli e di sicuro saranno buoni ma io non riesco ad amarli, li temo.
Di cosa ho paura?
Penso di soffrire. Io soffro sempre, molte cose mi feriscono. Anche piccole.
Gli altri non lo capiscono, ma anche io sanguino.
È colpa di questo mio carattere spigoloso che ho messo appunto per difendermi?
Io a 2 anni ero esattamente così, me lo racconta sempre la mia mamma.
A 2 anni non dovevo difendermi da niente.
Sì certo qualche barriera l’ho di sicuro innalzata, ma si nasce sulla difensiva o è un atteggiamento che si assume incosapevolmenfe con il tempo?
È una condanna autoinflitta o una sfiga primordiale?
Che ne posso sapere io.
L’ amore è alla portata di tutti?
Non lo so. Io vorrei che fosse alla mia, poi agli altri glielo auguro.
Sono stanca di non sapermi accettare.
Vorrei cancellare questo senso di inadeguatezza perché a volte mi sembra di non riuscire più a muovermi.
Potrei, sarei, avrei. Ma a quale condizione?
Ditemelo. Dovrei scoprirlo da sola.
Ma io non so dove cazzo andare.
Scusate. Dicevo, non so dove andare e non l’ho mai saputo.
Procedo a tentoni da che ho memoria, tra un vicolo cieco e l’altro io non ho ancora trovato un’indicazione.
Mi dicono prendi in mano la tua vita, agisci, fai qualcosa.
Ma cosa? Non c’è niente che mi piaccia particolarmente in questa esistenza.
A me sfugge il senso di vivere questa vita.
Per me non è mai semplice, tutto diventa un problema.
Io sono stanca.
Stanca. Stanca. Stanca. Stanca.
Domani farò il cambio dell’armadio.
Butto via tutto quello che non mi convince.
Non voglio più tenere con me pezzi a caso.
Persone a caso. Pensieri a caso.

You look in my eyes and I’m screaming inside that I’m sorry

Storie

Il sole che entra dalla finestra ti illumina il volto facendo brillare le lacrime che ti scendono lente sulle guance, rendendoti ancora più bella.
Hai gli occhi annacquati di dolore. Faccio un passo e mi avvicino, tu ti giri di scatto e una ciocca di capelli color miele ti si appiccica sulla guancia bagnata. Vorrei poterla scostare, asciugare con la mia bocca quella guancia così tonda, così perfetta. I tuoi occhi adesso sono più duri, vischiosi e neri come il catrame che da piccolo trovavo sugli scogli, che non andava mai via e ti restava addosso,ti si appiccicava al costume e alla fine lo dovevi buttare.
Stai soffrendo e io so che è colpa mia, ma non mi rinfacci nulla, il tuo è un odio che non sa di niente.
Tu non sai odiare, ci sono persone che sanno odiare meglio di quanto sanno amare, ma tu no. Tu ami tutto della vita, io ti invidio per questo.
Ti vedo fare un passo incerto, giri intorno al tavolino e le mani ti tremano, poi ti butti sul divano, stancamente. Adesso mi stai guardando e con il dorso della mano ti asciughi veloce gli occhi, striando il viso di mascara sciolto, nero sbiadito. Stai zitta ma so che stai pensando a mille domande, stai cercando un perché, una colpa, ma continui a tacere perché le domande sono troppe e non riesci a fare ordine. Tu hai bisogno di ordine nella vita. Come le mutande nel cassetto piegate tutte allo stesso modo, come gli smalti che tieni nel mobiletto del bagno, in scala cromatica. Anche a me piace l’ ordine ma ogni tanto devo buttare all’aria, devo stravolgere.
Tu però non volevi essere stravolta.
Chiedimi perché ti ho tradita, chiedimelo tu, perché io non me lo chiedo, sono un uomo che ha paura delle risposte.
Sono un uomo che ha paura e basta. Di essere troppo felice, di vivere.
Mi sembra di essere in un’ altra dimensione, i contorni delle cose sono sbiaditi, sono improvvisamente miope.
Ma la tua voce suona reale e mi riporta all’improvviso in questa stanza; mi chiedi se ti amo e non aggiungi altro. Non se ti amo ancora, ma se ti amo adesso, in questo momento seduto su questa poltrona, adesso, io ti amo? Rispondo di si, mi lancio in giustificazioni banali, ti urlo che non riesco a non guardarti senza pensare di volerti più di ogni altra cosa.
E capisco, e anche tu capisci che non ho un motivo, che non so spiegare. E tu invece hai bisogno di un motivo, tutti hanno bisogno di un motivo per poter andare avanti, tutta la vita gira intorno ad una spiegazione e quello che non sappiamo spiegare ce lo inventiamo.
E io che non ho una spiegazione, e che non so cosa inventarmi, che posso fare?
Ma tutto questo mio pensare non serve più a niente, è finita quando i tuoi occhi hanno smesso di essere catrame e ho intravisto la sfumatura del nero della notte, più sobria ma non meno intensa.
Poi hai parlato, mi hai detto che non ti amo e che non sai accontentarti di questo amore. Che non ti merito. Lo hai detto senza rabbia, come un dato di fatto. Come se lo avessi già accettato.
Perché non urli dandomi dello stronzo? Perchè non chiedi perchè? Perché non piangi più?
Tutto sarebbe meglio, tutto mi farebbe stare meglio.
Ti prego accontenta me, questo povero uomo, questo triste e disperato uomo, accontentami amore mio e dimmi che sai perdonarmi.
Eppure mentre ti guardo so che non lo farai, i tuoi occhi adesso sono blu come il mare più profondo, e so che non ti accontenterai mai, che non saprai perdonarmi. Che sono zavorrato sul fondale e sto affogando.
Sono solo adesso, e per questo ti amo ancora di più.

Mondo

Storie

Mi piace dormire nuda contro di te, respirare sulla tua schiena, sentire il tuo odore.

Odore di uomo, di questo uomo, di questo uomo che io amo.

Amo. Amo con tutti i centimetri della mia pelle, pezzo per pezzo, i miei capelli la mia saliva.

Saliva che sa di… di cosa deve sapere la saliva? Di stare uno dentro l’altro, con la lingua a scavare, a cercare.

Cercare il tuo cuore, la mia mano che accede al tuo petto. E fermarsi lì, dove la vita batte e colpisce.

Colpisce soprattutto me, mi schiaffeggia e mi devasta. È un così grande amore.

Amore mio se potessi ridurre la vita tutta qui, tra il mio seno e la tua schiena. Non sarebbe la cosa più bella del mondo?

Mondo, vattene. Lasciaci qui, non ti immischiare. Vattene e lasciaci la vita, quella vera, la custodiremo tra i nostri corpi per sempre.

Per sempre.

Black

Storie

Questo nuovo pigiama che ho comprato mi piace molto ma di notte ho freddo.

Dormo con tre coperte e i calzini lunghi ma forse basterebbe solo un abbraccio, di quelli lunghi. Ci sono abbracci corti e frettolosi e poi ci sono quelli caldi, quelli che ti restano addosso.

Mi rigiro nel mio nuovo pigiama e penso che quelle nuove piante che ho comprato dovrei travasarle in vasi più grandi.

Anche io mi dovrei travasare, in una vita più grande, di quelle spaziose e aperte, perché la mia è stretta e pesante.

Il buio non mi ha mai fatto paura, neanche da piccola.

La luce si, certe volte mi infastidisce e rende le cose troppo evidenti.

Domani vorrei andare a leggere un libro in un parco, sull’erba fresca e verde.

Ma so che non ci andrò, perché poi avrò da fare una delle mille cose che mi occupano le giornate. Una cosa più stupida ma più urgente. È in quel prato alla fine non ci andrò mai.

Quante cose che alla fine non farò mai.

Poi apro l’armadio e niente mi sta bene.

Nessun vestito si accosta al mio umore che invece è nero, come il mio pigiama.

È per questo che mi piace.

Razzie Awards since 2007.

Storie

Io non credo di essere mai stata così vicina dal lasciarti andare.
Lasciarti andare del tutto.
L’ altro giorno ho visto una tua foto di qualche anno fa, mi è capitata sotto gli occhi per caso e non ho potuto fare a meno di guardarla.
Eri più giovane, ridevi e sembravi felice, e io spero che tu lo fossi e che tu lo sia sempre.
Felice intendo, non giovane, perché se tu fossi sempre giovane vorrebbe dire che solo io invecchio e questo non lo trovo giusto.
Ma il punto non è questo. Quello che mi ha sconvolta è che non mi sei piaciuto.
C’ era qualcosa in te che non mi piaceva. O qualcosa che non mi piace più.
Per la prima volta ho realizzato che potrei smettere di aspettarti,non perché me lo impongo ma perché lo posso fare.
Qualche bacio, molte notte a fare l’ amore e tante litigate.
Siamo cresciuti insieme ma non siamo mai stati insieme.
Ci sono sempre state altre persone nel mezzo, compresi noi, soprattutto noi, i nostri difetti, la sconcertante facilità con cui riuscivamo a non capirci.
L’ incredibile abilità con cui non siamo mai riusciti a sincronizzare i nostri sentimenti.
La paura, Dio mio, la paura di poterci innamorare l’ uno dell’ altra.
Quella ci ha fregato.
Magari è proprio perché non siamo stati poi molto che non sono riuscita a lasciarti andare prima, perché sai questo idealizzare quello che saremmo potuti essere, quello che avremmo potuto fare, sai questo film è andato in loop nella mia testa per anni.
Conosco espressioni, battute, emozioni e colonna sonora di questo film a memoria.
E per come abbiamo recitato, fidati, avremmo vinto l’ Oscar. E non lo dico certo perché oltre ad essere la regista sono stata pure l’ attrice principale, assolutamente.
Ce lo saremmo meritato davvero perché ti giuro che è un film pazzesco.
Te lo farei vedere.
E poi a noi, stai sicuro, non ci avrebbero buttato giù dal palco come quei poveracci di Emma Stone e Ryan Gosling, no.
A noi ci avrebbero applaudito, osannato, una standing ovation al Kodak Theatre.
Noi avremmo vinto.
Veramente.
E avremmo fatto il discorso di ringraziamento più figo della storia degli Oscar.
Nel mio film tutto questo è successo.
Ma nella realtà abbiamo fatto schifo. Siamo stati due pessimi attori, abbiamo recitato, spesso male, la parte degli indifferenti.
Nella realtà al massimo potremmo vincere un Razzie Awards.
Alla fine, tra realtà e finzione, io sento che ci sei ancora intendiamoci, non è non dico che siamo già ai titoli di coda.
Solo che faccio più fatica a ricordare, a ricordarti, a provare emozioni e questa è la cosa più difficile da accettare.
Ti porti dentro una persona per talmente tanti anni, che alla fine lasciarla andare vuol dire anche lasciare una parte di me.
Ma lasciare dove?
Chi se lo prende questo pezzo di me?
E dove andrà a finire tutto quello che siamo stati?
Mi piacerebbe avere una risposta per tutto ma è chiaro che non ce l’ho.

Due

Storie

Per essere Novembre oggi non fa freddo.
Non c’è il sole, il cielo è plumbeo ma non fa freddo.
Cammino lentamente per le vie del centro guardando le vetrine.
Un negozio che conosco bene sta facendo una svendita totale per rinnovo locali, la fa una volta ogni cinque anni ma i locali non li hanno mai rinnovati.
Le commesse del negozio in franchising che vende intimo sono sulla soglia a raccontarsi pettegolezzi e a fumare avidamente una sigaretta.
Dopo il negozio di camicie all’angolo, c’è un vicolo sulla destra; è una di quelle stradine del centro storico strette e maleodoranti, dove non ci sono negozi importanti e di cui nessuno conosce il nome.
Io il nome della strada lo conosco, e a metà di quel vicolo c’è una libreria, una piccola libreria arredata in legno, vecchio stile, una di quelle librerie che vende poco ma dove puoi trovare chicche da veri intenditori.
Almeno credo, io me la immagino così questa libreria.
La verità è che non ci sono mai entrata e non so niente di questa libreria.
La verità è che mentre ero seduta al bar ti ho sentito parlare con la barista bionda mentre gli raccontavi della tua libreria in centro, in un vicolino sulla destra, che era una libreria che esisteva da molti anni e che l’ aveva aperta tuo nonno e adesso era tua.
E’ stata la prima volta che ti ho sentito parlare, in realtà non parlavi neanche con me, io ho solo origliato, ma la tua voce mi ha fatto rabbrividire. E’ roca ma non spigolosa, è profonda ma non impetuosa. E’ bella, come tutto di te.
Appena sono tornata a casa ho acceso il computer dello studio e ho passato in rassegna tutte le librerie del centro storico fino a quando non ho trovato quella giusta.
E così, adesso, io vengo qua tutti i giorni, passeggio avanti e indietro per questa via del centro e non trovo il coraggio di girare in quel vicolo.
Continuo a passeggiare avanti e indietro per mezzora. Poi me ne vado.
Così tutti i giorni da più di un mese.
Quando arrivo all’altezza del vicolo, mi fermo davanti alla vetrina del negozio di camicie e aspetto di trovare il coraggio. Le commesse oramai mi riconoscono e guardano incuriosite quella donna che ogni giorno guarda la vetrina ma poi non entra mai.
Non riesco a girare l’ angolo perchè ho paura.
Ti è mai capitato? No, non credo perché mi sembri così perfetto, tu non tentenneresti mai come me.
Ma a volte, a me, capita di desiderare talmente tanto una cosa da averne paura.

Passion. No fruit.

Emozioni, Life, Storie

Se ti avessi qui davanti, in questo momento, ti prenderei a schiaffi.
Poi inizierei a urlarti contro tutte le cose che hai fatto e che mi hanno ferita.
E credimi, sono molte.
Ti direi che lasciarmi qua ad aspettare non è giusto.
Aggiungerei che sei uno stronzo, il più grande stronzo sulla faccia della terra, anche se so che non è vero.
Ti chiederei di non parlare, perché se parlassi so che riusciresti a convincermi.
Alla fine se tu riuscissi a convincermi io tornerei da te.
Lo so perché queste storie funzionano così.
Non si parla di sentimenti in queste storie. Per lo meno non di sentimenti puri. E ingenui.
Non voglio assolutamente che tu mi chiami.
In realtà, se credessi, pregherei qualunque Dio perché tu lo facessi.
E se dovessi parlarti vorrei riuscire a farti sentire piccolo come mi sento io a volte.
E incerta. Spesso mi sento incerta e molte altre volte confusa.
Non per farti male, io non vorrei mai causarti dolore.
Tranne quello fisico schiaffeggiandoti, si intende.
Non vorrei essere la causa del tuo star male, vorrei solo farti star bene.
Tu però mi causi dolore, molto e molte volte.
E so che a volte te ne rendi conto. A volte lo fai di proposito.
Perché sai come ferirmi, te l’ho insegnato io.
Io mi chiedo spesso se anche te sei in grado di provare tutta questa vasta gamma di sensazioni e, se le provi, come le gestisci?
Tu dici che ti ho fatto più male io. E’ possibile.
Sono contraddittoria?
Spesso mi dici che ci sono stati un paio di momenti in cui tu eri li, fermo e aspettavi me.
Io sono passata avanti. O sono tornata indietro.
Non ero pronta in ogni caso.
Lo so.
Questa volta però era il mio momento, ero li ferma. Non riesco a capire se sei passato avanti, se sei tornato indietro o se non sai cosa fare.
Ma tu mi pensi?
Quante domande in queste poche righe.
Però vorrei saperlo, mentre io sto perdendo tempo a scrivere queste righe, tu, mi pensi?
Io penso di si.
Però vorrei sentirmelo dire.
Una volta eri più sincero, ora non lo sei quasi mai. Io me ne accorgo quando menti, anche se faccio finta di crederti.
Ma poi, sei lo stesso di prima?
A volte penso che tu sia cambiato troppo. E non in meglio.
L’ hai mai visto One Day? E’ un film con Anne Hathaway la storia dei protagonisti somiglia un po’ alla nostra. Per certi versi. Comunque lei a un certo punto gli dice: “Ti amo Dexter, e molto. Ti amo ma non mi piaci più!”
Ecco.
Ora non voglio dire che ti amo, sono parole troppo grandi per me, però il succo è chiaro, si capisce cosa intendo dire.
Va bene adesso la smetto di scriverti.
Mi piacerebbe poter smettere di pensarti con la stessa facilità con cui decido di smettere di scrivere.
Ci riuscirò mai?
Chissà.
Queste storie qui sono solo fatte di prese di posizioni, di rabbia, di emozioni sofferenti e di momenti persi.
Qualcuno le chiama passioni.
Credo sia appropriato.
Una passione è sofferenza e anche totale dedizione.

Nessun giorno e nessuna ora.

Emozioni, Life, Storie

Oggi il tempo non è un granché, nuvoloni grigi e pesanti girano sopra la mia testa e sembrano non promettere niente di buono. Sono rimasta un po’ qua fuori, con le braccia strette intorno al petto, mentre le macchine passano rumorosamente sullo sfondo, accompagnate dai rumori dei clacson; poi mi sono mossa.
Con passo incerto, sono entrata in questo bar dopo tanti anni.
Al bancone c’è un barista giovane e dall’aria sveglia che, guardandomi velocemente, mi chiede: “Cosa le faccio signora?” – lo guardo, e abbozzando un sorriso gli rispondo “Un succo di mirtilli, grazie”.
Il barista si china, apre lo sportello del frigo, prende un bicchiere di vetro e stappando la bottiglietta inizia a versare nel bicchiere il suo contenuto: “Ecco a lei.” – mi dice il barista allungandomi il succo sul bancone.
“Grazie.”- rispondo io mentre cerco il portafoglio nella borsa: “Quanto le devo?”.
“Sono 2 €” – mi dice, battendo lo scontrino alla cassa.
Pago, prendo il mio succo e mi siedo a un tavolino, uno a caso tanto non cambia niente.
Il succo di mirtilli non lo bevo mai ma ieri ho letto su una rivista dal medico che fa bene agli occhi e allora oggi mi sembra che ci stia bene, ho bisogno di qualcosa che mi faccia bene, perché credevo che facesse meno male la tua assenza in questo posto.
Intendiamoci, sapevo che sarebbe stato devastante, ma sento la tua assenza in mille altri posti e non credevo facesse poi così tanta differenza stare qua.
Lentamente porto il bicchiere alla bocca e sorseggiando il succo di mirtilli mi guardo intorno; forse il tempo sta migliorando perché un tenero raggio di luce si sta affacciando alla porta.
Quando ti ho visto la prima volta invece, era una di quelle giornata luminose che per vedere devi socchiudere gli occhi, dove ogni cosa sembra più vera.
Ero seduta dentro questo stesso bar dove il tempo sembra che non sia mai passato: la stessa macchia di umidità nell’angolo destro sopra al bancone, i tavolini sempre uguali, le sedie spaiate, quest’aria polverosa e pesante.
L’ unica cosa cambiata qua dentro credo di essere io.
Quando entrai, quella mattina di qualche anno fa, dietro al bancone c’era una donna non tanto alta, leggermente in sovrappeso, con i capelli biondi appuntanti in modo disordinato sulla nuca. Aveva gli occhi piccoli e neri e, guardandomi di sottecchi, mi chiese cosa desideravo. Ricordo chiaramente di aver ordinato un caffè.
Non era un bar che normalmente frequenterei ma quel giorno dovevo solo ingannare il tempo, avevo un’ appuntamento ed ero in anticipo, stavo solo ingannando il tempo, niente di più.
Invece è il tempo che ha ingannato me.
La barista mi servì al bancone il caffè, in una tazzina bianca, di quelle piccole, con sopra il disegno del marchio della ditta che fornisce il caffè, pagai e mi sedetti.
Quel bar non mi piaceva, era squallido e vecchio.
Me ne stavo seduta a un tavolino, pensando mentalmente alle cose che mi restavano da fare durante la giornata e non è che fossi proprio di buonumore, sai era una di quelle giornate storte, in cui i capelli non ti stanno come vorresti o lo smalto si sbrecca su un’ unghia e molte altre piccolezze che non contribuiscono a rendere piacevole una giornata.
Mentre bevevo il mio caffè, mi scottai le labbra; la tazzina bruciava e il caffè era pessimo.
E mi mette sempre di cattivo umore bere un caffè pessimo in una tazzina bollente. Con totale disappunto iniziai a guardarmi intorno e il mio sguardo finì nell’angolo più buio del bar, sai quello dove di solito ci trovi le slot machine o la porta del WC, solo che in quell’angolo non c’erano né slot machine né porte del WC, c’eri te.
Te ne stavi seduto a leggere la Gazzetta dello Sport, completamente assorto, nella penombra del bar.
Non riesco a dire nemmeno adesso, nemmeno oggi, a distanza di tutti questi anni, perché attirasti la mia attenzione fino a non farmi più distogliere lo sguardo da te.
Non avevi niente di particolare, né di particolarmente bello, eppure non riuscii a muovermi.
Indossavi un maglioncino grigio, jeans slavati e un paio di scarpe da ginnastica.
Niente di particolare.
Ti osservai leggere ogni riga, vidi le tue mani sfogliare ogni pagina, fino a quando, finito di leggere, piegasti in due il giornale posandolo sul tavolo.
Ti sei alzato allontanando velocemente la sedia dal tavolino e sei uscito.
Senza mai guardarmi.
Io invece continuai a guardare quell’angolo, che ormai era rimasto vuoto, credo per diverso tempo, perché alla fine arrivai tardi al mio appuntamento.
Ecco, andò più o meno così il nostro primo incontro.
Non ricordo che giorno fosse e non saprei dire un’ ora esatta, adesso vorrei poterlo ricordare, ma la mia vita cambiò così: in nessun giorno e in nessuna ora.